La ricostruzione del cuore di Coralba Capuani – Recensione

La ricostruzione del cuore di Coralba Capuani è un romanzo uscito il 27 Luglio 2017, edito da IoScrittore. Un romanzo che ha partecipato anche al Torneo Letterario di IoScrittore , vincendolo.

Coralba Capuani, abruzzese da generazioni, si laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università G. D’Annunzio di Pescara, con una tesi su Maxine Hong Kingston, Amy Tan e il fenomeno della doppia appartenenza culturale. La frequentazione di un corso di web journalism riscopre la passione per la scrittura. Nel 2014 pubblica Giù all’Ammeriche, il suo primo romanzo. Nel 2015 pubblica Il cuore aspro del Sud per Butterfly edizioni. Per seguire le sue attività potete cercare su wordpress e facebook il suo blog: La scrittora della valle.

Sinossi: Nella notte del 6 aprile 2009 il terremoto distrugge il cuore dell’Aquila, e le macerie seppelliscono le esistenze di tutti, di chi perde la vita e di chi sopravvive. Giulia è una ragazza aquilana che studia a Bologna e insegue i suoi sogni al ritmo della musica che suona e ascolta con passione. In quella terribile notte perde tutta la famiglia, e comincia per lei un calvario di mesi in un albergo, prigioniera del ricordo di progetti spezzati e volti, voci e gesti spariti per sempre. Un dolore compatto e monotono come le giornate tutte uguali trascorse nella struttura, in un limbo sospeso dove ogni desiderio di vita è cancellato e rimangono solo ferite aperte. Ma proprio lì nascerà l’inaspettata, salvifica comunione di due solitudini, e Giulia intreccerà un profondo rapporto con Amalia, un’anziana donna salvatasi dal sisma. Amalia deve fare i conti non solo con la distruzione della sua casa, ma anche con i figli ormai adulti che vivono lontano da lei. Forse troppo lontano… Un romanzo che si snoda tra il tempo immobile della sofferenza e il continuo agitarsi della felicità, per raccontare la forza delle donne di trovare, anche nella notte più buia, la luce della speranza e il potere dell’amore per andare avanti.

La narrazione è scandita dal tempo, come una sorta di diario nel quale l’io narrante stia confidando a se stessa, in primis, le sue paure più recondite e il dolore per l’immane perdita dei familiari dopo il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. Un romanzo in cui si snodano tre storie principali. Tre donne; Giulia, Amalia e Giorgia. Una diversa dall’altra. per carattere e per età.

Il 6 Aprile inizia il calvario di Giulia che cerca disperatamente di raggiungere L’Aquila da Bologna, dove studia musica. E’ il viaggio della disperazione, alla ricerca di un segno di vita, una voce, più di una: la sua famiglia. Voci che non sentirà più, perché sepolte dalle macerie di un terremoto che ha distrutto il cuore pulsante della città. Alla ragazza, dopo i funerali, viene concesso un alloggio in un’hotel della costa e lì conosce Amalia, l’anziana signora con cui spesso passeggia, si intrattiene ed entra in confidenza. Un’amicizia particolare, dove le domande spesso sono trattenute per non fare male, per non risvegliare il dolore, perché spesso è meglio non confidare agli altri le proprie pene, i dolori, i rimpianti. Due donne molto diverse, soprattutto per l’età, ma entrambe possedute da una fitta nebbia di dolore: Giulia per la perdita della famiglia, Amalia per le incomprensioni con i figli ormai grandi e pieni di rancore. Giorgia, invece, è un’impiegata dell’hotel, l’ultima arrivata, l’incapace per alcune colleghe; la ragazza, invece, dimostrerà tutt’altro.

Il romanzo non è solo la storia delle tre donne, ma è una profonda analisi dell’animo umano che quando tocca il fondo di un abisso, si trova a dover riflettere su tanti valori della vita dati per scontati: l’amore per la famiglia, per una sorella, per la casa (un tetto sulla testa è la certezza di ognuno di noi). Ci fa pensare allo sconforto adolescenziale ribelle per dei genitori troppo presentii o per l’amore viscerale di una madre – comprensibile solo a chi è madre – scambiato per prevaricazione. E poi il valore dei ricordi, delle complicità familiari e tra sorelle. Si respira, sin dall’inizio, l’atrocità della natura avversa, di quella cosa che scuote tutto e tutto distrugge. Ed è così che arriva a pervadere gli animi la nostalgia, la malinconia, la tristezza, la solitudine, in un ambiente (l’hotel) in cui è tangibile il contrasto tra la gioia e il dolore: l’allegria dei turisti (pochi, per la verità) e degli animatori e lo sguardo cupo degli ospiti che non hanno più dimora, ma che soprattutto sentono la mancanza dei propri cari. Un luogo dove la paura si respira ancora a ogni leggera scossa, o alle parole: terremoto, vittime, crollo, sfollati. Locali e stanze che vedono passare una serie di protagonisti minori, qualcuno veramente irritante a dirla tutta, altri più o meno importanti per la narrazione delle storia.

Personalmente ho apprezzato moltissimo la parte introspettiva, l’analisi del dolore e il quadro esatto e tristissimo che l’autrice fa della vecchiaia “i vecchi sono fastidiosi, raccontano sempre le stesse cose, sono noiosi, d’intralcio, pretendono attenzioni, vogliono confidarsi…”, esaltando poi l’importanza del rapporto che che si viene a creare tra Giulia e Amalia: una nuova famiglia per entrambe, anche se l’anziana signora una famiglia ce l’ha ancora. I figli di Amalia sono quasi inesistenti per la donna, sono dei figli che poco sopportano la sua presenza e delle nuore che nutrono antipatia per la vecchietta, nipoti che appena la conoscono.

Il romanzo è anche una sottile e non proprio velata (ma giusta) denuncia verso le istituzioni, e le varie figure di potere che si fanno vedere solo quando ci sono le telecamere accese, che spesso si riempiono la bocca di quel “non vi lasceremo soli”, pensando che le New Town siano la soluzione al problema degli alloggi per gli sfollati. La nuova città dai grandi vialoni sembrerebbe essere la rinascita di una città, L’Aquila in questo caso, eppure è tutt’altro: segnano la perdita del passato, dei mattoni della storia di ogni Aquilano ammassati in cumuli di abominevole distruzione, di questo terremoto che ognuno ha vissuto in modo proprio, anche in maniera egoistica a volte, perché il dolore è diverso per ognuno di noi, ognuno sente il proprio e ognuno viene segnato in maniera diversa. Egoistico perché il nostro dolore è più importante e potente di quello degli altri, se possibile. Egoistico perché arrivi a pensare “sono stato fortunato, mi sono salvato, sono vivo”. In quella nuova città di case scialbe e tutte uguali la vita adesso scorre in maniera diversa, soprattutto per gli anziani, ancorati alle tradizioni e alle proprie abitazioni. Una città che non riconoscono, dove sentono scivolare via la vita troppo velocemente.

Forse l’ho pensato anch’io di essere stata fortunata quel 6 aprile, ricoverata in ospedale per una malattia incomprensibile, sola e in preda al panico. Dopo quel lungo momento in cui tutto tremava e tutte le vetrate dell’ospedale erano lì a urlarmi “adesso ti  uccido”, c’è stato il momento del silenzio. quel silenzio all’altro capo del filo dove nessuno mi rispondeva al cellulare. Ho pensato di aver perso tutti i miei affetti, la mia famiglia. Proprio come Giulia, solo che io non ho perso nessuno. E l’ho vissuto ancora, quel momento, lo scorso anno, prima con il terremoto di agosto e poi con la scossa di ottobre.  La paura è stata tanta e riesco a immaginare come possano essersi sentite le persone colpite in maniera diretta. Ho visitato lo scorso luglio il paese di Pievetorina per un’iniziativa della mia casa editrice, e quello che ho visto è stato un colpo all’anima e al cuore. Eppure ho visto anche sorrisi e gente che lavorava alla ricostruzione anche di sabato. E’ a queste persone che va un grande ringraziamento da parte di tutti gli italiani per quello che fanno: protezione civile, croce rossa, volontari delle pubbliche assistenze.

Un romanzo, quello di Coralba Capuani, che si legge con rapidità, per via di una narrazione priva di orpelli letterari, coinvolgente per le emozioni che suscita, con le protagoniste ben caratterizzate e le loro emozioni quasi tangibili.

Un romanzo che va letto “per non dimenticare”, perché, come dico sempre, è a telecamere spente che la gente ha bisogno di essere aiutata a superare il loro periodo nero, distruttivo e di paura. E’ a telecamere spente che si ricostruisce la vita!

Xo Xo Rita Angelelli

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