Daje Pievetorina – di Renato Ghezzi

Prima

 

Facciamo un torneo.

L’Ilario! È fatto così, l’Ilario.

Nessuno critichi l’articolo davanti al nome. Tra noi hockeisti è una regola grammaticale. L’Ilario, il Fabio, la Manu…

All’Ilario butti lì una cosa e lui subito macina, pensa e propone: facciamo un torneo.

E facciamo il torneo! L’idea non mi era passata neanche per l’anticamera del cervello, però è buona. A me sarebbe bastata un po’ di partecipazione all’iniziativa dell’e-book, ma con questi della LCHG (Lega Cisalpina Hockey Ghiaccio) ti devi aspettare di tutto. Due anni che li conosco e ancora non sono abituato.

Dunque, spieghiamo un po’ cosa succede.

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Lo scorso anno, tramite amici, sono venuto in contatto con la casa editrice Le Mezzelane e, più precisamente, con l’attivissima e dinamica Rita Angelelli, che il loro sito definisce Direttore Editoriale.

Verso la fine dello scorso 2016, Rita ha lanciato un’iniziativa a favore di Pievetorina, un paesino nelle Marche distrutto dalle scosse di ottobre. Quasi tutte le case inagibili, un borgo distrutto, la popolazione dispersa. Le Mezzelane risiede a Santa Maria Nuova, una novantina di chilometri da Pievetorina, e Rita insieme allo staff ha pensato di fare qualcosa per quel centro devastato.

Da Casa Editrice, hanno deciso di puntare sul ripristino della biblioteca civica. Ricreare un punto di aggregazione, di formazione della cultura, per poter riportare gli abitanti nel loro paese, per dare loro un motivo e un’occasione per stare insieme.

Ed ecco che, un giorno di dicembre, leggo l’appello di Rita: cari amici scrittori, regalateci un racconto. Lo includeremo in un e-book il cui ricavato andrà interamente a finanziare la ricostruzione della biblioteca di Pievetorina. Subito! Ho spulciato nella mia cartella dei racconti mai pubblicati, ne ho scelto uno secondo me particolarmente carino e l’ho inviato.

Sono stato felice di vederlo, a gennaio, inserito nella raccolta ma ancora di più che oltre ottanta autori avessero contribuito. Valeva la pena acquistare quell’e-book di per sé, a maggior ragione per lo scopo benefico. E ho iniziato la fase due. Ho telefonato, scritto, messaggiato, chattato, mandato piccioni viaggiatori a tutte le mie conoscenze per dire loro dell’iniziativa e consigliare loro di partecipare, ne valeva la pena.

Un cablogramma ha raggiunto l’Ilario che, poco tecnologico, non ha comprato l’e-book ma ha rilanciato: facciamo un torneo.

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Ora, per me organizzare un torneo di hockey su ghiaccio presenta una difficoltà intrinseca appena un grado inferiore a spedire un uomo su Marte. Per l’Ilario è roba di tutti i giorni.

La pista: palazzo del ghiaccio di Sesto san Giovanni.

La data: una telefonata, quando è disponibile il ghiaccio? Fatto, 25 marzo dalle 18 alle 21.

Le squadre: volete venire? Ed ecco i partecipanti, Black Angels Milano, Waves Padova e, last but not least, gli organizzatori Sgularat di Milano. Una precisazione per i non madrelingua: sgularat significa pipistrello. No, non in inglese, in dialetto milanese.

Fatto.

C’era da mettere a punto la parte benefica. La prima idea, quella facile, era chiedere un contributo e poi, in qualche modo, inviarlo a… a chi?

Ho contattato Rita, che mi ha risposto: va bene, ma alla fine noi con quei soldi acquistiamo libri da mettere a catalogo. Ed ecco il passaggio che ha reso unico l’evento. Invece di denaro, abbiamo chiesto a tutti, giocatori, pubblico, simpatizzanti, di portare uno o più libri, ovviamente come nuovi, da regalare a Pievetorina. Rita mi ha confermato che la proposta era valida, meglio se si fosse trattato di libri per bambini, e ho avviato la propaganda. Ero ancora tranquillo e ignaro, devo ammettere. Nella mia mente vedevo un libro a testa, quindi circa quaranta dai giocatori, una ventina dall’esiguo pubblico. Uno scatolone, più o meno. In qualche modo saremmo riusciti a spedirlo giù, non vedevo il problema.

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Il problema arrivò ben presto:

  • Al torneo di San Donato, altra iniziativa benefica peraltro, il Fabione mi informa che ha una cantina piena di libri nuovi, tre bancali mi dice, e che li avrebbe portati il 25 marzo. Che stessi pronto. OK, iniziavo a pensare che il trasporto non sarebbe stato così facile e indolore.
  • Pochi giorni dopo mi chiama la Manu. Era in contatto con la biblioteca del suo comune, Bolzano Novarese, ed erano disponibili a donare tutti i loro libri in più, usciti dal catalogo. Quanti? La mia gioia per il successo dell’iniziativa cresceva di pari passo alla preoccupazione per la sua gestione. Quanti, non si sapeva ancora. C’era bisogno di mettere in contatto diretto le due biblioteche, quella Piemontese e quella Marchigiana. Mi muovo, si muove Rita e ce la facciamo. Un altro lotto di libri in arrivo.
  • Al lavoro parte la mobilitazione generale, vado e torno a casa con quattro borse piene.
  • L’Ilario mi manda la foto di uno scatolone enorme, formato freezer. Te ne porto tre così, mi scrive. In due di questi un’intera enciclopedia per ragazzi, praticamente nuova.
  • Mi telefona il Lodetti (sarebbe il Gianluca, ma lo chiamiamo tutti il Lodetti): a Pantigliate ha raccolto tanta roba. Quanta? Boh, staremo a vedere!

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La mia natura ansiosa e organizzatrice inizia ad agitarsi.

La mole di libri sta diventando enorme: si tratta di raccoglierli, inscatolarli, conservarli in attesa dell’invio, spedirli… aiuto! Ed è quello che ho chiesto. Ho scritto al sito degli Sgularat, a Rita, agli amici: mi serve tutto! All’inizio non ho avuto risposte, poi, pian piano sono arrivate.

Il Reggi, cioè il Marco, mette a disposizione il suo box, speriamo che basti… Nel frattempo Rita mi garantisce che può mandare su il suo corriere, e il trasporto è fatto.

Mi telefona la Cinzia (famiglia di hockeisti, la Cinzia, suo marito il Luca e suo figlio il Marco: quindi con l’articolo). Hanno delle scatole piene di libri anche loro ma, importante, hanno anche delle scatole vuote! E la Cinzia, con la sua caratteristica generosità, si offre a venire al torneo e dare una mano. Già perché, cosa non indifferente, c’è anche il torneo da organizzare e la cosa potrebbe richiedere la mia attenzione. Di solito in queste occasioni tengo il cronometro, ma questo mi isola dagli altri, chiuso in un box di plexiglas a far partire e fermare il tempo (beh, detta così mi fa sembrare una divinità o, stando più bassi, Doctor Who). Se così fosse non potrei dedicarmi alla raccolta dei libri, all’accoglienza degli amici che arriveranno, a quelle grandi e piccole cose che vanno seguite durante questi eventi. La presenza della Cinzia, insieme a mia moglie Rosa, mi tranquillizza: riusciremo a fare tutto!

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Durante

 

Ci siamo, si parte. Alle 17.45 siamo lì, il torneo inizierà mezz’ora dopo, i giocatori delle prime due squadre, Padova Waves a Black Angels sono già pronti, attrezzati e in panchina. I Padovani passano, mi salutano. Non ci conosciamo ancora, mi danno del lei. «Glieli passiamo portare dopo, i libri? Ne abbiamo qualcuno»

Rispondo di sì, in fondo, penso, aggiungere dopo quelle 2-3 borse… ricordatevi questo pensiero.

Arriva la famiglia di Cinzia che, insieme a mia moglie Rosa, saranno i grandi protagonisti della giornata. Come prima cosa io e Gianluca andiamo a rubare (letteralmente) un tavolino del bar e lo sistemiamo sotto le tribune, come punto di riferimento. Per farci riconoscere attacchiamo un depliant della manifestazione.

E via, iniziano a fioccare gli scatoloni e le borse. Gli amici portano, appoggiano sulle scale e sulle seggioline, noi controlliamo, sistemiamo meglio i libri, chiudiamo le scatole. Vengo sgridato perché taglio il nastro adesivo con i denti: ma sono un impiegato!

Mi chiamano, devo lasciare il lavoro sui libri. C’è da insegnare al Lodetti e al Giannino (detto Equitalia perché raccoglie i soldi per pagare l’affitto del palazzo e gestisce la cassa degli Sgularat) a usare il cronometro. Due dritte, e via, sono autonomi, sul nostro bel PC Windows 98 original.

Quando torno alla base, vedo che il cumulo di scatoloni e borse è aumentato. CI mettiamo d’impegno a passare i libri dalle borse alle scatole, e spesso ci fermiamo incantati. In quelle borse, in quelle scatole ci sono mille mondi, mille storie. I libri di Jan Fleming in prima edizione, una collana di classici, un “Demetrio Pianelli…”. Mi fermo con un volume in mano, piuttosto alto, in ottimo stato. Quello che mi ha indotto a bloccarmi è il nome dell’autore: Carlo Dickens. Carlo! Probabilmente una traduzione del Ventennio, o giù di lì, ma come nuova. Poso il libro con riverenza nella scatola, che non si faccia male.

Ma le emozioni più grandi sono arrivate quando siamo scesi con l’età: i libri per i bambini, colorati, illustrati, magici. Con le figure che si aprono in 3D oppure i puzzle o le finestrelle. Genitori che stanno regalando non solo libri, ma i loro stessi ricordi. Bambini che sono cresciuti leggendo e facendo esperienza su quelle pagine consentono ora ad altri bambini di fare lo stesso.

Stiamo sistemando questi libri quando spuntano due bimbe, piccole, minute, forse di sei-sette anni. Si avvicinano timide, guardano, osservano con occhi curiosi i volumi variopinti che appoggiamo sul tavolino prima di imballarli.

Alla fine la più spigliata chiede: «Scusate, potremmo prendere un libro?»

Ci guardiamo e ci sorridiamo.

Scusa, Rita, ci scusino a Pievetorina, ma un libro a testo glielo abbiamo lasciato prendere. Non credo che, tra tanti, faccia la differenza, però quelle due bimbe sono andate via felici, con il loro carico di fiabe.

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Nel frattempo il torneo continuava, bello, combattuto ma corretto e sportivo. L’atmosfera era di puro divertimento, sul ghiaccio e fuori. Alla fine della prima partita era finito il flusso dei donatori e abbiamo guardato la pila di scatole: erano trenta! Alla vigilia avevo pensato che in due, tre, ce le saremmo potute distribuire e portare a casa, ma erano diventate troppe e non sapevo cosa fare. Per fortuna uno dei miei amici ha diretto per anni una squadra di hockey e conosce il giro. «Chiediamo a Rino», mi ha detto.

Rino è il direttore del Palazzo del Ghiaccio. L’abbiamo trovato nel suo ufficio, al lavoro. È stato gentilissimo, come sempre. Capito il problema, ci ha messo a disposizione un piccolo magazzino, praticamente un sottoscala, che aveva altresì il pregio di essere vicino a dove avevamo gli scatoloni!

Felicissimo, sono corso dagli amici e in breve abbiamo stivato i trenta scatoloni, pronti in attesa del trasporto.

Poi sono andato dal Reggi, in panca ad aspettare l’inizio della partita, per dirgli che non serviva più portare altre scatole nel suo box, quello che aveva messo a disposizione. «Meno male», mi ha risposto, «perché ne ho già dentro una trentina, di scatole!»

Mi sono messo d’accordo che le avrebbe portate al Pala il giorno della spedizione e sono tornato da Rosa che era con Cinzia, Marco e Luca, e abbiamo potuto goderci in pace l’ultima partita, quella decisiva per l’aggiudicazione del torneo.

Importa dire chi ha vinto? Hanno vinto tutti, ha vinto l’hockey, ha vinto il cuore.

Usciti dallo spogliatoio, i ragazzi di Padova mi dicono: «Ti ricordi che anche noi abbiamo dei libri? Dove li portiamo?» Adesso mi davano del tu, finalmente!

Felice di avere il piccolo deposito: «Metteteli qui», ho risposto. Ricordate, pensavo a due-tre borse. Hanno iniziato a salire, uno poi un altro e un altro… «ce ne sono ancora!» E un altro. «Finito?» «No!»

Insomma, quando uno di loro mi ha detto che era l’ultimo, avevamo messo lì altre 15 scatole!

Ed ecco arrivare il Lodetti. «Renato, porto dentro i miei?». I libri di Pantigliate! Mentre fuori iniziava a piovere, facciamo quest’altro trasporto. Aveva il SUV pieno, sedili abbattuti e libri ovunque. Non capivo più niente, ero ormai in totale confusione, e non ho fatto la conta, ma almeno un’altra decina di scatoloni c’era! E siamo a 55, più le 25-30 del Reggi, più 5 a casa mia… Diciamo 90, però non come Totò, per la paura. La generosità fa 90.

 

Durante la premiazione uso i vocioni del Fabio e del Lodetti per far tacere tutti e leggere la lettera di ringraziamento di Rita, nel silenzio generale del bar, affollato da quei turbolenti incontrollabili di hockeisti, tutti zitti e attenti come loggionisti alla Scala.

La lettera di Rita

 

Buonasera.

Prima di ogni cosa ringrazio gli atleti e il pubblico presente e mi scuso per non poter essere intervenuta di persona.

Sapete tutti il motivo per il quale vi siete ritrovati qui questa sera, ma vorrei rimarcarlo, in maniera da essere tutti più vicini alle vittime del terremoto e ai loro familiari.

La prima scossa il 24 agosto.  Mi sono svegliata, quel mattino, sgridando il mio cane, Ugo, che è sempre un po’ irrequieto. Purtroppo il letto che tremava era ben altra cosa. Siamo usciti di casa di corsa, quando era già tutto finito, mentre su internet già correva la voce del terremoto e di qualche paese che non se l’era cavata bene come noi.  Le immagini di un’immane distruzione mi hanno distrutto l’anima, interi paesi scomparsi: Amatrice, Accumuli, Arquata del Tronto. In ogni momento della giornata mi risuonava in testa la voce del Sindaco di Amatrice che diceva “non c’è più niente, non è rimasto più nulla”. Sono rimasta per giorni incollata alla televisione, sperando che i volontari trovassero persone in vita e ogni volta ho esultato e pianto insieme.
Poi il 26 e il 30 ottobre, con altre distruzioni, fino al drammatico crollo della cattedrale di Norcia. Le trasmissioni televisive si sono focalizzate sulla perdita del patrimonio abitativo, agricolo-industriale e culturale avvenuto in quelle terre, e sulla possibile, sebbene problematica, ricostruzione. Parlando di patrimonio culturale i media si sono focalizzati principalmente sugli edifici e sulle opere d’arte, parte integrante di questa nostra nazione-museo.
Qui da noi i danni sono stati minimi. Il danno più ingente lo ha subito il campanile della chiesa, proprio il 30 ottobre, con la croce crollata sul tetto e qualche crollo di cornicioni da qualche abitazione un po’ più vecchiotta. Nessuna vittima per fortuna. Quello che resta di quei giorni è la paura e lo sciame sismico che ci ha tenuti tutti in allerta, i nervi tesi a ogni minimo tremolio. Noi, per esempio, abbiamo dormito in tre su un letto per circa quaranta giorni con il cane che protestava per gli intrusi e rivendicava il proprio spazio, ma so di famiglie intere che hanno dormito in auto, al freddo. In quei momenti serviva rimanere insieme, confortarci l’un l’altro. Tra una scossa e l’altra, oltre a lavorare, serviva anche svagarsi e non rimanere sempre appiccicati ai notiziari. I libri per me sono stati un buon aiuto, ed è proprio da questo particolare che è nata la raccolta fondi.

Perché quando si spengono i riflettori mediatici e la popolazione ancora piange le vittime, le case distrutte, il lavoro incerto, anche una semplice lettura può distogliere dalla paura; e perché, quando le case e le industrie saranno ricostruite, e gli edifici storici restaurati, anche le biblioteche dovranno essere pronte a riprendere la loro funzione di diffusione capillare della cultura sul territorio.

Ecco, voi siete qui per loro. Grazie.

Grazie a Renato Ghezzi e ai suoi collaboratori, grazie a chi ha donato anche solo due euro, grazie agli scrittori che hanno contribuito con i loro racconti, grazie alle persone che ci hanno inviato libri.

DAJE PIEVE TORINA!

Rita Angelelli

Quando ho finito, è scoppiato un applauso spontaneo, caldo e affettuoso. Non per me, che ho solo letto: per Rita che ha lanciato tutta questa idea, e per le persone di Pievetorina che potrebbero ritrovare un loro centro di ritrovo e ricominciare a vivere. Daje, Pievetorina.

Renato Ghezzi

 

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